Google+

mercoledì 30 aprile 2014

Recensione: "La confessione" - Mario Soldati

TRAMA (da Adelphi)Clemente è un adolescente sensibile, un po’ torbido, un po’ troppo «conscio di se stesso» rispetto ai suoi compagni. Lo educano i Gesuiti – e Clemente stesso vuole pensare che un giorno diventerà un Gesuita. Ma i suoi pensieri non hanno nulla di religioso. È attratto dal peccato per eccellenza, la Donna, nella persona di un’avvenente amica di sua madre o di un’ignota signora, dalla sublime volgarità e dalle unghie laccate e acuminate, che un giorno incontra in ascensore. Non avrà però il coraggio del suo peccato. Mentre troverà una soluzione ai suoi turbamenti erotici che paradossalmente viene incoraggiata dai suoi tutori morali, dalla famiglia e infine da lui stesso: l’omosessualità.



La confessione, romanzo breve (o racconto lungo?) di Mario Soldati, mi è stato consigliato da un'amica Facebookiana nel corso di una discussione sulla triste vicenda che vede protagonista Sei come sei di Melania Mazzucco. Quello che cercavo, insomma, era una lettura sull'omosessualità: La confessione è solo uno dei testi che mi ha consigliato, ma siccome l'ho casualmente trovato nella libreria di casa - tra quegli Adelphi della mamma che ho sempre visto come "noiosi", anche se leggo cose ben più "noiose" - ho deciso di cominciare da qui. L'ho messo nello zaino, in previsione di due giorni in quel di Parma, e a metà del viaggio di ritorno - stufa di Limonov, del quale non avrete una recensione ma un breve post perché pur essendo scritto meravigliosamente è troppo particolare perché io possa apprezzarlo e capirlo in pieno - ho iniziato a leggerlo. Avevo previsto di scendere a Porta Susa per prendere la metro e risparmiare cinque minuti, ma mi è toccato rimanere fino a Porta Nuova per finirlo comodamente seduta.
140 pagine: la lunghezza giusta non solo per essere letto sul treno, ma anche per imprimersi con decisione nella sensibilità di chi legge, per suscitare tutta una serie di riflessioni e pensieri. A metà tra romanzo e racconto, è quel che si dice uno scritto "fulmineo". 
Da parecchio, ormai, non leggevo niente di letteratura italiana, per un motivo o per un altro: ho apprezzato tantissimo il suono "originale" - non tradotto, non mediato - della mia lingua, e soprattutto la costruzione della frase, complessa, che costringe a una lettura attenta e meditata. 
In 140 pagine c'è "tutto": scrittura incisiva e briosa, talento narrativo, chiarezza espositiva. C'è un ambiente religioso - e bigotto - quello del collegio gesuita che Clemente frequenta, c'è la nonna - bigotta? invasata? uscita dal secolo scorso? - il cui sogno più grande sarebbe quello di vedere il nipote prete, c'è la mamma di Clemente, sullo sfondo, che simboleggia quel perbenismo torinese di facciata che, ci piaccia o no, tutti noi che abbiamo vissuto / viviamo a Torino conosciamo. E poi... ci sono le tentazioni, e c'è la relazione naturale "come bere un bicchier d'acqua", la pace, quello che nessuno si aspetta, perché in quel mondo intriso di bigottismo e perbenismo da cui Clemente proviene il male è solo la donna.

Vorrei dire di più, ma siccome vorrei invitarvi alla lettura, concludo qui.

sabato 26 aprile 2014

Recensione: "Vite che non sono la mia" - Emmanuel Carrère

Sinossi (da qlibri): Nell'esperienza di ogni lettore c'è sempre l'incontro - spesso casuale, a volte unico - con un libro dall'apparenza innocua, inoffensiva, ma che poi si rivelerà essere una di quelle letture che cambiano la vita, o, quantomeno, ne sconvolgono le più sedimentate convinzioni. Ecco: Vite che non sono la mia è uno di quei libri. La storia è, come spesso lo sono le storie vere, semplice e terribile. Durante le feste di Natale del 2004, Emmanuel Carrère è in vacanza con la famiglia in Sri Lanka. Sono i giorni in cui lo tsunami devasta le coste del Pacifico: tra le migliaia di morti c'è anche Juliette, la figlia di quattro anni di una coppia di francesi a cui Carrère - accidentale testimone dello strazio di una famiglia - si lega. Qualche mese dopo, al ritorno in Francia, un altro lutto: la sorella della compagna dello scrittore - che casualmente si chiama anche lei Juliette - ha avuto una ricaduta del cancro che già da ragazza l'aveva colpita rendendola zoppa. Ha trentatre anni, un marito che adora, tre figlie, un lavoro come giudice schierato dalla parte dei più deboli, e sta morendo. Dall'incontro con Étienne, amico e collega di Juliette, anche lui passato attraverso l'esperienza della malattia, Carrère capisce che non può nascondersi per sempre: deve in qualche modo farsi carico di queste esistenze in un corpo a corpo con quell'informe che è la vita. Raccontare ciò che ci fa più paura. Ritrovare nelle vite degli altri, in ciò che ci lega, la propria. È quello che fa un testimone. Nascono così questo libro e i ritratti dei personaggi che lo abitano: tra i più luminosi e commoventi della letteratura contemporanea. 

Dopo La vita come un romanzo russo e L'avversario, Vite che non sono la mia è il mio terzo romanzo di Carrère. Poco prima di finirlo, ho proposto sulla pagina un mini sondaggio nel quale chiedevo consigli su che libro cominciare dopo averlo ultimato: ho preparato una piccola lista che potete andare a vedere. Alla fine, dopo aver chiuso Vite, non ho potuto far altro che iniziare Limonov, altro romanzo di Carrère che aspettava nel Kindle. Perché Carrère, con le sue parole, con le storie - strazianti - che racconta, ti cattura nel suo mondo, ti porta con sé, nella sua casa di Parigi. Come ne L'avversario, e in La vita come un romanzo russo, non mancano, anzi abbondano, i riferimenti alla vita personale, affettiva, sentimentale di Carrère, e alla gestazione del romanzo che tieni in mano. 
Spesso, leggendo, viene spontaneo chiedersi se ci sia, e quando sia grande, una differenza tra Emmanuel persona, personaggio e narratore. Ovviamente, non lo sapremo mai: ed è proprio quest'ombra di mistero a fare dei suoi libri le calamite che sono. Carrère prende la sua vita, e quella degli altri, e ne fa letteratura. In questo romanzo, Emmanuel affronta due delle sue più grandi paure, che sono quelle di molti di noi.  Descrive il dolore, il lutto, la malattia senza giri di parole, senza mezzi termini, ma anche senza compiacimento o morbosità. Si mette continuamente in discussione, si interroga su quanto i personaggi con cui è entrato in contatto gli raccontano, si chiede come ri-raccontare, come scrivere, quale sia la vocazione, il compito dello scrittore negli anni Duemila. Ed è proprio questo a creare una macchina meravigliosa, a far sì che attraverso le pagine traspaia il fascino dell'autore. E attraverso di esso, abbiamo riusciamo a sentirci pienamente umani, a soffrire per le sorti delle due Juliette, delle loro famiglie, di Étienne .
Avevo letto, non so dove, che questo è il romanzo più riuscito dell'autore. Nel corso della lettura mi chiedevo perché, dato che non mi sembrava stilisticamente più riuscito de L'avversario: ma arrivata alle ultime pagine, ho capito. Attraverso gli eventi narrati, Emmanuel si mette in discussione, impara ad amare, ad accettarsi. Ed è lieto fine.

"Certo, immagino che se ci è dato di durare ci saranno delle crisi, dei momenti di stanca, delle burrasche, che il desiderio si consumerà e si volgerà altrove, ma credo che resisteremo, che uno di noi due chiuderà gli occhi dell'altro. Niente, in ogni caso, mi appare più desiderabile"


mercoledì 16 aprile 2014

Recensione: "Una vita da sfollati" - Silvestra Sorbera

SINOSSI: Vita da sfollati è la storia di una vita intera, quella di Biagio 
Mita. Una storia d’amore che inizia con un lutto e si dipana verso il 
passato. 
Come un treno che corre veloce sui binari del passato e del presente, binari 
che idealmente si uniranno come le vite dei protagonisti.
Storie d’amore e di guerra in una Sicilia arida dove il sole cocente e gli 
stenti sono la quotidianità. Fanno da sfondo lo sbarco alleato, la paura di 
partire soldato, la fame e poi ancora la ripresa italiana, la televisione e 
il 
boom economico. 
Filo conduttore della storia la famiglia con i suoi alti e bassi privati e 
nazionali. 

Giusto pochi giorni fa avevo presentato velocemente il racconto di Silvestra Sorbera, che ho letto oggi dopo pranzo. Non sono solita leggere racconti e non li amo particolarmente: ho bisogno di tempo per immergermi nella storia, devo inquadrare bene i personaggi, formarmi un'opinione...Tutto questo purtroppo con un racconto non è possibile, e mi ritrovo sempre con un senso di vuoto. 
Il racconto in questione è scorrevole e ben scritto, anche se vorrei fare un piccolo appunto: l'uso del pronome "lui" come soggetto è ormai entrato a far parte della lingua corrente, ma non è corretto. Al di là di questo, ho avuto come l'impressione di assistere alla storia dall'esterno: mi è sembrato di leggere la sinossi di un libro. Sarebbe bello se l'autrice sviluppasse l'argomento in un testo un po' più lungo, dal momento che il soggetto è interessante. 

martedì 15 aprile 2014

Presentazione: "Aeroporti" E. C. Mitrani - Nativi Digitali Edizioni

Presentazione di Aeroporti, di Elena Chiara Mitrani, ultima pubblicazione- disponibile da domani - della NativiDigitaliEdizioni, attualmente in lettura.

SINOSSI:   Martino, Irene, Davide, Ginevra e Valerio formano una di quelle compagnie di amici inseparabili, il cui legame sembra destinato a durare per sempre . Eppure, un giorno Martino decide di partire per l’Erasmus. E tutto quello che teneva insieme il gruppo finisce lentamente ma inesorabilmente per spezzarsi.
Dopo l’università, i vecchi amici si ritrovano a fare lavori diversi da quelli che speravano,  incrociano le proprie storie con quelle di nuove persone, ma continuano a provare nostalgia verso un passato che non potrà mai tornare. Il destino sembra però progressivamente ricreare una serie di collegamenti tra loro; e se i ragazzi si incontrassero di nuovo?
Aeroporti ci racconta i sogni e le aspirazioni di un gruppo di ventenni e i compromessi che devono accettare, ci descrive come le persone crescendo cambiano, perdono di vista quello che un tempo era per loro più prezioso ma non dimenticano mai davvero i loro compagni di strada.

L'AUTRICE: Elena Chiara Mitrani nasce a Milano e vive tutta la sua gioventù in Brianza. Data la sua passione per la tecnologia, decide di studiare Ingegneria al Politecnico. Dopo la laurea, ha la fortuna di trovare un lavoro a Londra, dove vive per due anni e mezzo prima di attraversare la manica e preferire ai ritmi intensi della City la più romantica Parigi. Dal 2005 scrive sul blog personale La Stanza Bianca ed ha pubblicato racconti su tre diverse antologie edite da Giulio Perrone Editore. Da sempre redattrice per varie testate online, attualmente parla di lettura (digitale e non) su Finzioni Magazine. Aeroporti è il suo primo romanzo, pubblicato da Nativi Digitali Edizioni.
Profili dell'autrice: Su Facebook
                            su Twitter

Da domani, l'ebook sarà scaricabile partendo da qui.

lunedì 14 aprile 2014

Recensione: "Le mirabolanti avventure di Spazz-Never" - Nathan K. Raven


TRAMA (da Lulù): Si narrano le gesta di Spazz-Never, l'eroe che si batte contro le ingiustizie e le perfidie della sua nemesi: il diabolico Dottor Maleficus. Così cattivo che per le troppe malefatte ha letteralmente perso la faccia, ma non la voglia di conquistare il mondo o distruggerlo, questo non lo sa nemmeno lui. E così il nostro paladino, spazzaneve di professione e picchiaduro per passione, non solo dovrà risolvere un'assurda situazione climatica nel paese di BelTempo, ma dovrà anche opporsi ad un folle bombardamento, all'inarrestabile dilagare di un subdolo social network e alle letali invenzioni del Dottor Maleficus. Tutto questo cercando di trovare il tempo per badare ai cavoli suoi: presto Spazz scoprirà che anche le attività più semplici come fare merenda o godersi in santa pace una partita di football possono diventare un incubo. Riuscirà Spazz a sopravvivere e a tifare per i suoi amati Schiappers? Il destino del mondo non è mai stato tanto in bilico!
Buona lettura e… GO SCHIAPPERS!!




Dopo Anelli di quercia, continua il mio viaggio non solo tra i self, ma anche tra i lavori degli amici del gruppo Facebook "Sto leggendo questo libro". La cosa buffa è che di Nathan, autore de Le mirabolanti avventure di Spazz - Never non so assolutamente nulla. 
Al di là di questo... sotto con la recensione!
Allora. Dunque. Vediamo. Le mirabolanti avventure di Spazz-Never è sicuramente il libro più strano che abbia mai letto, senza ombra di dubbio. Ne sono sicura. 
Da una parte, potrebbe essere visto come una lettura per ragazzi: la struttura de le mirabolanti avventure assomiglia a quella delle fiabe che leggevamo da bambini. Dall'altra, però, non credo che tutti i ragazzi potrebbero cogliere tutte le chiavi di lettura e tutti i risvolti ironici. Del resto, non credo di aver capito tutto nemmeno io...
Il romanzo - di veloce lettura - racconta le avventure di questo Spazz-Never, che ha occhi di ghiaccio, capelli biondi e niente barba. Sinceramente, per me è molto grave l'assenza della barba, ma mi rendo conto che non sia importante, per cui passo oltre. Spazz-Never è una sorta di eroe moderno, o mi verrebbe da dire postmoderno, dato che è impegnato a lottare non solo contro il male ma con buona parte di quei prodotti della modernità con cui siamo abituati a convivere: la pubblicità, i contratti telefonici, Facebook (ehm, leggete!...), le telenovele, ecc...
Lo stile è buono, decisamente: per quanto la storia sia - apparentemente - leggera e densa d'ironia fino al midollo, non credo sia stato facile scriverla, anzi. Ci vuole una discreta padronanza delle strutture della lingua, e Nathan ce l'ha!
L'ironia - a volte un filo esagerata ma sempre divertente - attraversa tutto il romanzo, investendo tutti i personaggi: fino a metà ho riso di cuore, vedendo messe a nudo tante nostre piccole manie, tanti elementi tipici del nostro mondo. Ho riso e ho pensato, perché Nathan copre di ironia problemi veri, seri, e li mette a nudo. Ma verso la fine ho - purtroppo - iniziato ad annoiarmi un pochino, secondo me...è un filo troppo lungo.

Comunque, promosso, non stroncato!

domenica 13 aprile 2014

A proposito di ... "Dalla parte di Swann"

Ieri, dopo poco meno di due settimane, sono arrivata all'ultima pagina di Dalla parte di Swann, il primo dei sette libri di cui si compone Alla ricerca del tempo perduto. Il primo in assoluto, e per me. Mi spiego meglio: parecchie mie conoscenze si sono fermate a Swann; per me non sarà così. Non so ancora dire se arriverò a Il tempo ritrovato, ma di certo non mi fermo qui. Però, la lettura di Proust credo subirà un arresto, per ora. Siamo quasi alla fine della tesi, che diventa sempre più impegnativa, e io sono abbastanza stanca. Mi dedicherò a letture più leggere, e veloci. Il che significa anche più recensioni: state connessi!
Riprenderò magari dopo l'estate, nella mia nuova casetta in Germania, nella mia nuova vita.
Tornando a Proust... a casa possiedo il volume unico Newton Compton, e nella fisica impossibilità di reggere quel macigno ho deciso di scaricare Dalla parte di Swann sul Kindle. All'inizio mi spiaceva un pochino non affrontare una lettura così complessa su un cartaceo, ma alla fine sono stata felicissima della scelta. La possibilità di evidenziare, annotare, condividere ha reso la lettura ancora più attenta e concentrata. 

Mi dispiace di aver rimandato per tanto tempo questa lettura, davvero: sono sempre stata frenata dai giudizi esterni, e dal fatto che.. beh, insomma, sono sette tomi. Eppure, non è stato tanto difficile. Oddio, i libri leggeri e scorrevoli sono altri, ma non l'ho trovato eccessivamente pesante. è sicuramente una scrittura che viene incontro al mio gusto personale. La narrazione in prima persona, lo scandaglio dell'animo umano, la messa a nudo delle paure e delle nevrosi mi catturano sempre con forza. Il rapporto del narratore con la madre, i personaggi della famiglia, la paura di non riuscire ad addormentarsi, le riflessioni sulla letteratura, sulla lettura e sulla scrittura mi hanno avvinta, conquistata. Mi sono riconosciuta in tantissimi passaggi, in miliardi di riflessioni. Delle tre parti di cui si compone il volume, quella che in definitiva ho apprezzato meno è Un amore di Swann: anche lì sono descritti e analizzati i sentimenti di Swann e il suo rapporto con l'orribile Odette, anche lì ci si riconosce, si capiscono i sentimenti di lui o si vorrebbe pigliarlo a calci ma... la carica suscita-paranoia è meno elevata, e allora... mi piglia meno!.
L'ambientazione, invece, l'ho apprezzata sempre: sia quando si parla di Combray, sia quando si parla di Parigi. Dalle pagine (del Kindle :) ) esce un profumo irresistibile di Belle époque.

Per adesso, è tutto: non escludo di tornare su Swann, guardando le mie annotazioni sul Kindle

venerdì 4 aprile 2014

Presentazione: "Una vita da sfollati" - Silvestra Sorbera

Mi è stato segnalato il racconto di Silvestra Sorbera di recente pubblicazione: ho dato uno sguardo ai commenti e credo sarà tra le mie prossime letture, e che verrà quindi anche recensito.



SINOSSI: Vita da sfollati è la storia di una vita intera, quella di Biagio 
Mita. Una storia d’amore che inizia con un lutto e si dipana verso il 
passato. 
Come un treno che corre veloce sui binari del passato e del presente, binari 
che idealmente si uniranno come le vite dei protagonisti.
Storie d’amore e di guerra in una Sicilia arida dove il sole cocente e gli 
stenti sono la quotidianità. Fanno da sfondo lo sbarco alleato, la paura di 
partire soldato, la fame e poi ancora la ripresa italiana, la televisione e 
il 
boom economico. 
Filo conduttore della storia la famiglia con i suoi alti e bassi privati e 
nazionali. 


L'AUTRICE: Silvestra Sorbera, classe 1983, una laurea in Scienza della Comunicazione conseguita nel
2004 presso l’università di Catania.
Subito dopo la laurea inizia a scrivere per il quotidiano La Sicilia conseguendo l’iscrizione all’albo dei giornalisti pubblicisti,  ha collaborato con diversi periodici cartacei e non.
Negli anni ha partecipato a diversi concorsi letterari spesso con buoni esiti pubblicando anche alcuni racconti e aforismi.
Nel 2009 pubblica il primo libro (Commissario Livia) con il gruppo Albatros, il testo è attualmente in vendita su Amazon ed ha riscosso un buon successo, nel settembre del 2013 pubblica una storia per bambini (Simone e la rana) e a dicembre un saggio letterario-cinematografico.
Vita da sfollati è la sua terza opera letteraria
Attualmente vive a Torino, collabora con due quotidiani on-line (Italia24ore e Torinofree) e scrive nel suo blog .

Se siete interessati, a questo link e a questo è possibile acquistare il racconto.

martedì 1 aprile 2014

Recensione: "Imperfetto futuro" - Cristina Bergomi

TRAMA (da Amazon.it): Giulia è una moglie e una madre irreprensibile. Ha trascorso la sua vita a fare quello che gli altri si aspettavano da lei, rinunciando a se stessa e alla carriera per dedicarsi completamente al marito Paolo e alle loro figlie Anna e Camilla.
Vive immersa nel suo bozzolo di finta serenità, convinta delle sue scelte e soddisfatta della quieta immobilità della sua vita, ma la fortuita scoperta del tradimento di Paolo la costringe a sporgersi sul burrone del suo inconscio per tendere la mano alla ragazza che ha dimenticato di essere.

Come scrivevo nel post precedente, sto leggendo Dalla parte di Swann. Ma il treno, l'aeroporto di Frankfurt e l'aereo non sono il luogo adatto alla lettura di Proust.
Allora, ho deciso di cominciare una delle altre letture in lista: Imperfetto futuro. Più che cominciarlo, l'ho letto tutto: durante il viaggio e poi a casa, mentre mi asciugavo i capelli. Non si può dire che la scrittura di Cristina Bergomi non tenga incollati alla pagina.
La storia è questa volta decisamente meno straziante e meno "impegnativa", dal punto di vista etico - morale, di quella raccontata in Anelli di quercia, ma non per questo non ci pone davanti a problemi e riflessioni.
Lo stile è delicato e ben curato, come in Anelli di quercia. Ma questa volta non sono stata completamente soddisfatta: giova ricordare che questo  è il romanzo d'esordio dell'autrice, e che io sono "fresca" della lettura di quello successivo: Imperfetto futuro perde un po' nel confronto.

La descrizione del rapporto con Paolo è attenta, minuziosa e approfondita, mentre quella della nascente relazione col proprietario del locale dove Giulia lavorerà per un periodo è più superficiale, e caricata di significati collegati a momenti non sufficientemente - a parer mio - sviscerati. Anche la conclusione è un po' frettolosa, e in un certo senso improbabile, come se l'autrice avesse voglia di arrivare in fretta a mettere la parola "fine" al suo racconto.  Come in Anelli di quercia, ho molto gradito l'abilità dell'autrice nel descrivere le sensazioni e le emozioni, e la relativa fenomenologia.